La  forte necessità di isolarmi e scrivere, l'ho avvertita fin da bambina, da quando  la penna ha iniziato a scorrere sul candore del foglio e l'adorata maestra, passando tra i banchi, picchiava lievemente con la bacchetta la manina sinistra che la impugnava, perchè imparassi ad utilizzare la destra. Solo scrivendo, sono sempre riuscita e  tuttora riesco, ad essere  realmente me stessa.  Inizialmente, in quei primi anni delle scuole elementari, questa capacità di esprimere e trasferire con una certa facilità, i sentimenti sulla carta, mi aveva creato non pochi problemi.

I temi che componevo a casa come compito, la mattina successiva lasciavano perplessa e dubbiosa l'insegnante.  Quante note presi...! Ogni volta, la signora Sivi, leggeva e tracciava sul quaderno, a caratteri  cubitali e rossi, la stessa frase .: "Non è farina del tuo sacco".

Zia sorrideva. Sapeva che non c'era nessuno a prepararmeli..! Era sicura che  lei, prima o poi ,se ne sarebbe resa conto. Poi una mattina, le note si tramutarono in un  brutto  voto. Un quattro. Non servirono a nulla le mie blande proteste, le mie lacrime. Quella seggiolina scarlatta, sulla pagina, mortificava ed annientava tutto  il mio lavoro, il mio impegno.

Sotto, non contenta,  scrisse che desiderava parlare con  qualcuno della mia  famiglia. Richiedeva.... spiegazioni. Fu  la zia ad accompagnarmi, il giorno successivo. Assicurò, che ogni parola, ogni virgola, ogni frase, usciva di getto dal mio cuoricino. Ero una bambina molto sensibile, confermò...! In seguito a quel chiarimento, i voti iniziarono a lievitare. Quando lasciai le elementari, prima di congedarmi, la mia maestra, mi mise tra le mani  un libro che ancora gelosamente conservo: "I promessi Sposi"  del Manzoni. Fu il suo augurio per un buon proseguimento negli studi;  oltre  a un ennesimo gesto carico di quella tenerezza  che mi  aveva sempre dimostrata.

 Ogni volta che tornavo da scuola, era mia abitudine pranzare in fretta per  poi potermi ritirare  nel piccolo mondo che mi ero creata. In esso, ricercavo la tranquillità che mi mancava in famiglia. Nella mia cameretta, con la porta chiusa,  seduta alla  scrivania sommersa da matite, penne, testi scolastici, per ore ed ore,riempivo pagine di diario, intervallate  da studio e compiti. Era lui ad assorbire, giorno dopo giorno, ogni sensazione, le piccole gioie, le  insostenibili sofferenze che già mi opprimevano.

Sulle  sue pagine, si accalcavano, senza freno, fiumi di parole, fino a ricoprirle completamente, fino al totale esaurimento delle stesse.Ultimato uno, ne iniziavo  subito un altro. Era come  se, in silenzio, comunicassi con un amico  invisibile e discreto, comprensivo, sincero. Un amico che non mi avrebbe mai tradita o abbandonata, che avrebbe gelosamente custodito tutto quanto gli rivelavo ed avrei  seguitato a confidargli. Un amico come se ne trovano pochi, che, ogni pomeriggio,  mi prendeva per mano e, silenziosamente, mi diceva... " Aprimi ed apriti, Claudia..! Ti sono vicino. Comprenderò.... e, se sfuggirà qualche lacrima mentre scrivi, non temere..., nessuno lo saprà mai, nè se ne accorgerà...!".

Quanti ne riempii...! Un numero immane...! Sarebbero stati troppi da conservare. Di tanto in tanto, quindi, ne gettavo qualcuno. Quelli arretrati, obsoleti. Ogni volta, avvertivo, nel liberarmene, la stessa stretta al cuore.
Era un pezzo della mia infanzia, della mia vita che se ne andava...! Erano i miei tormenti che si diluivano,  venivano allontanati. Unicamente, però, quelli impressi sulla carta. Era il cuore nel diario che riuscivo ad alleggerire, liberare, ma dentro...., dentro..., persistevano inalterate sempre le stesse ferite, le stesse lacerazioni.

Finirono in tal modo, accantonati, anche i litigi dei miei genitori, la voglia di tranquillità di una figlia che non riusciva più neppure a capire cosa e come stava vivendo la propria infanzia, l'inizio dell'adolescenza... Immersa,  soffocata da problemi ,che  solo i grandi  sapevano  tanto cinicamente  procurarle.

Piano piano, scivolarono via anche  i momenti  più tragici vissuti. L' abbandono di papà, la morte della zia. Da quel maledetto giorno...,  anche il mio diario ebbe una battuta d'arresto.  Si spense insieme a lei e... insieme a me...

Senza quasi rendermene conto, iniziai a slittare  verso un nuovo tipo di espressione; a scrivere poesie. Non so se siano belle. Non me lo sono mai chiesto e neppure mi importa. Qualcuna si è guadagnata targhe e medaglie....., ma  è unicamente quanto desidero trasmettere, che considero determinante. Quanto spero di far pervenire a chi legge,  attraverso le stesse, i miei racconti, le  stesse favole.

Anche se in forma diversa, resta sempre comunque il cuore che parla...Un cuore attraversato da sentimenti meravigliosi come l'amore, non sempre felice, spesso incompreso; la fede,  la dolcezza,

l' eccessiva sensibilità....,ma  anche sovente travolto da  tristezza indicibile, profonda malinconia, se viene a scontrarsi con la carenza di comprensione  che, purtroppo, caratterizza tante persone talvolta anche  molto care.

              

       

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