La grande scatola di fotografie sulle ginocchia ed io che le ripasso, le riguardo, una per una. Lo faccio spesso. Ogni volta che mi sento triste. Lo faccio, quando il cuore ha bisogno di spaziare, aggrapparsi a qualcosa che mi ricordi di avere avuto, come ogni essere umano, un’infanzia.

Per me… è doppiamente difficile. Riunire i vari pezzi che emergono da quei rettangoli di cartoncino, che imprimono frammenti talvolta scordati, rimossi, della mia passata esistenza, è come ricomporre un puzzle. Immagini che mi proiettano a ritroso nel tempo. In questo modo i ricordi, sono come la schiuma del mare.., piano piano… riaffiorano, tornano a galla, anche se … rari, velati, intrisi solo della presenza di poche persone. Le più importanti. Quelle dalle quali mi sono sentita realmente amata; quelle che si sono fissate negli occhi, nel cuore e vi resteranno per sempre.

In molte fotografie, mi rivedo piccolissima. In alcune (poche in verità!), tra le braccia di papà…! Mi sento morire…! Il cuore, la mente, non hanno fermato quasi nulla di lui. Era un padre assente, il mio, quasi inesistente …!Un fantasma che si materializzava e svaniva. Troppo occupato, per poter lasciare spazio al ruolo primario di marito e padre, scavando inevitabilmente, intorno a sé, in chi avrebbe avuto il dovere di proteggere ed amare, un cratere di vuoto e solitudine…Penso che mamma, con lui, abbia sofferto moltissimo, abbia vissuto anni d’inferno e... non soltanto dopo la separazione! Era sicuramente quello il motivo per il quale accusava sempre problemi di salute, trascurava di curarsi, si spegneva, ogni giorno un po’. Una candela, la sua, fragile e pur forte, esposta al vento della delusione, del dolore, forse incapace, priva ormai della volontà di reagire, restare accesa. Le foto la ritraggono con me bambina, con il mio fratellino. Quanta tristezza in quello sguardo…, quanta tenerezza nel mio, mentre la sto osservando….! Se solo non fossi stata tanto piccina…! Se solo avessi potuto capire quanto stava accadendo intorno a me e dentro di lei…! A modo mio lo comprendevo. Ma solo con la percezione di una bimba sensibile che vedeva stare male la propria mamma. Lo capivo dal suo volto, dal fatto che la vedevo sovente piangere. Qualcosa non andava. Lo percepivo dai suoi discorsi interrotti in mia presenza, frammentati, fatti con la nonna, la zia. L’ho compreso in seguito, soprattutto quando ho notato, quel lontano giorno, sul letto, la valigia ormai pronta … Non l’ho più visto tornare, mio padre…! Non l’ho più rivisto per trenta lunghi anni e… per sua scelta. Solo poche volte, mi capitò di incrociarlo in città, ma lo vidi cambiare strada per non doverci salutare, per non dover confermare che aveva, comunque, dei figli. Eppure un ricordo dolce, è rimasto. Forse l’unico con lui, di quella mia parentesi infantile. Voleva che imparassi a suonare il pianoforte. Ma… più che il ricordo di mio padre.., penso sia stata la "persecuzione" alla quale mi sentivo sottoposta, a non farmi in seguito, più scordare quei momenti…!

Sperava forse che gli assomigliassi… Lui, a cinque anni, già accompagnava i canti dei bimbi nelle scuole…, era un bambino prodigio….! Io i miei, li volevo vivere come una bimba normale, parlando, coccolando e giocando con Giuffredi, Valenti, con Lorenzo ( era così che avevo battezzato i miei bambolotti preferiti…!!!). Ogni giorno, papà mi dava nuovi esercizi da preparare al pianoforte. Mi avrebbe ascoltato al rientro, prima di cena, nell’intenzione di continuare la lezione…. Ma quanti dolori accusavo, ogni sera, pur di evitarla…!

Spaziavano dal male al pancino, al mal di testa, riuscivo persino a farmi salire la febbre…! I miei tempi di studio...forzato, giornaliero, non superavano mai la mezz’ora. Nonostante tutto ero brava, riuscivo bene. Mio padre, scuoteva la testa sconsolato. "Se con me non studi" - minacciava - "ti mando da un altro maestro..!". Infatti lo fece e quel nuovo insegnante quando mi sentì.., gli disse entusiasta: "Osvaldo, da questa bambina, ci tireremo fuori qualcosa…!". O almeno…, ci sperava, ci ha provato….! Sarebbe bastato solo un minimo di impegno da parte mia, unito alla sua indiscutibile bravura per ottenere ottimi risultati. Ma la piccola Dada, alle note, agli spartiti, continuava a preferire le sue bambole.. Le lezioni, furono presto interrotte.

Il ricordo della mamma, è incancellabile. Era molto tenera, anche se i dispiaceri l’avevano resa ombrosa, spesso nervosa. Di lei, ricordo l’amore che ci portava, la passione per il disegno. Amavo tanto quei momenti in cui potevamo stare insieme. Io e lei da sole..! Speravo che la mia vicinanza, servisse a lenire quel malessere interiore che non riusciva a celare. Temo, però, fosse solo una mia infantile illusione. Per certe lacerazioni del cuore, non esiste medicamento. Nulla che possa suturarle, nulla che possa lenirne lo spasmo. Nulla che possa mettere a tacere la mortificazione, quel senso di sconfitta, quell’intimo, inarrestabile grido di dolore..! In quei suoi bellissimi occhi azzurri, riuscivo raramente a carpire un breve sorriso. Sovente, il pomeriggio, dopo i compiti, mi portava a giocare. A volte, si univa alla passeggiata anche il mio fratellino, ma c’erano momenti in cui preferiva i propri giochi alla nostra compagnia, rimanendo a casa con la nonna e le sue macchinine. La mia manina, si legava, allora, a quella di mamma ed insieme, ci incamminavamo verso i giardini pubblici di Piazza Roma. Là, lei si sedeva su una panchina, mentre io ritrovavo le piccole amiche, correvo su e giù per le montagnole, salivo sul trenino che per me, non era circoscritto ad un giro intorno alla grande aiuola centrale, ma mi immergeva in un mondo totalmente magico, cullato dal rumore, dagli spruzzi della bella, grande fontana. Quanti ricordi mi legano e riportano a mia madre…! Come potrei dimenticare quell’orgoglio che le leggevo negli occhi quando mi guardava, la sua apprensione quando le ero lontana, il coraggio con cui ha affrontato prove durissime. La ferrea volontà di riprendere a parlare, dopo la trombosi che le aveva colpito la parola. Il primo infarto…., il vuoto terribile che mi ha lasciato la sua ultima telefonata, pochi minuti prima del secondo…., quello fatale, che me l’ha portata via… Erano le otto di sera di una rigida sera di pieno inverno. Fuori, una nebbia infernale. Era lontana, a casa di un’amica. Allo squillo rispose mio marito. Non ero ancora rincasata dal lavoro. Voleva sentirmi… "Dì che richiamo più tardi. Salutamela…!", gli disse. Rimase nell’aria quella promessa….Fu l’ultima chiamata…e mi fece piombare nell’angoscia più cupa, in un ingiustificato, lacerante rimorso….

Per tanto tempo, dopo la sua scomparsa, mi sono sentita colpevole per non essere stata presente, per non aver potuto raccogliere, le sue ultime parole…! Forse presentiva qualcosa. A sua figlia.., l’avrebbe sicuramente confidato…! Se ci fossi stata, avrei potuto ascoltare la sua voce… per l’ultima volta …. Al solo pensiero, gli occhi, si riempiono ancora di lacrime…! Non ho più potuto sentirla, ma solo rivederla… come non avrei mai voluto, tra disperazione ed incredulità…

Della mia nonnina, del terzo angelo che vegliò su di me fino che il Signore glie lo concesse, non posso parlare che con tutta la tenerezza, la commozione del mondo.

Era una donnina piccola, minuta, ma con la grandezza, la forza di una montagna. Rimasta vedova giovanissima (la mia mamma, ultima di tre figlie, non conobbe mai suo padre), crebbe le sue creature lavorando giorno e notte come sarta; riuscendo ad offrir  loro, anche una sufficiente istruzione. Ricordo il suo smisurato affetto per noi nipoti, i sacrifici a cui si è sempre sottoposta per starci vicino e, insieme alla zia, sostenere costantemente la mamma.

Ricordo l’abito che mi cucì quando feci, nella chiesa di S. Ilario, la prima Comunione, immortalato su varie fotografie. Per confezionarmelo lavorò ininterrottamente per varie settimane.. Ne uscì una nuvola a strati di tulle. Il velo, in prezioso pizzo francese, era parte dell’abito da sposa della mia mamma. Era bellissimo..! Tutte le bambine me lo ammiravano, ma, per me, al di là dell’estetica, aveva un significato particolare. Conoscevo quanta fatica le era costata, le tante notti che aveva perdute per poterlo ultimare per tempo. Ogni punto, era un gesto d’amore nei miei confronti… Cara, piccola, ma unica, grande donna! Ricordo le sue lacrime, il giorno che mi vide apparire nel mio lungo, candido abito da sposa…

Avevo ventitre anni….Io, mi illudevo di iniziare a vivere… Lei, la mia nonnina… stava per morire…

 

Torna a racconti